(1623 Clermont-Ferrand - 1662)
“Il
genio che diede il modello tanto del motto di spirito più perfetto, quanto del
ragionamento più rigoroso” (Chateaubriand)
La citazione, tratta dalla biografia di Pascal, evidenzia la duplice genialità di questo personaggio, che ha dato contributi eccezionali sia in campo filosofico, sia in ambito scientifico.
La
scienza di Pascal:
Sempre secondo la biografia di Chateaubriand, “a 12 anni Pascal creò la matematica con aste e cerchi, a 16 compose un trattato sulle coniche, a 19 creò una macchina calcolatrice, a 23 anni dimostrò fenomeni del peso dell’aria”. La scienza, nel suo ambito proprio, è sovrana. Pascal respinge ogni intrusione metafisica, teologica e ogni principio di autorità. Ma essa è limitata: i suoi poteri non sono mia assoluti e i primi principi su cui si fonda sono indimostrabili. L’ambito in cui la ragione scientifica si dimostra completamente incapace è proprio quello dei problemi esistenziali.
La
filosofia di Pascal:
“Nell’età
in cui gli altri cominciano appena a vivere, avendo già percorso tutto
l’itinerario delle scienze umane, si accorge della loro vanità e volse la
mente alla religione: da quel momento, sempre malato e sofferente, scrisse
pensieri che hanno sia del divino che dell’umano”. Scorrendo
tra i suoi famosissimi Pensieri, nati per essere un’apologia della religione
cristiana, è possibile ricavare la sua “filosofia”. L’interrogativo più
pressante è quello sul senso della vita, di cui Pascal conosce il mistero:
Eppure
l’atteggiamento comune degli uomini nei riguardi dei problemi esistenziali è
proprio quello del divertissement: questa distrazione indica l’oblio e lo
stordimento di sé nella molteplicità delle occupazioni quotidiane e degli
intrattenimenti sociali. Ma da che cosa vuole sfuggire l’uomo? Dalla propria
infelicità e dai supremi interrogativi riguardanti la vita e la morte.
"Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci"
Infatti quando l’uomo non ha nulla da fare, sente il suo nulla, la sua insufficienza, la sua impotenza, il suo vuoto interiore. Allora diventa triste, pieno di rabbia e di disperazione, e soprattutto di noia, che è la rivelazione della insufficienza dell’uomo a se stesso e della sua strutturale miseria. In fondo il gioco, la conversazione, la guerra, il potere non sono ricercati in vista della felicità, ma perché ci distolgono dal pensare a quella che è la nostra vera condizione. Noi non pensiamo quasi mai al presente ma è solo l’avvenire che ci interessa:
"Così
non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e, preparandoci ad essere felici, è
inevitabile che non siamo mai tali".
L’uomo non deve chiudere gli occhi di fronte alla sua miseria ma deve saper accettare, lucidamente, la propria condizione e tutto ciò che essa implica.
"L’uomo
è manifestamente nato per pensare; qui sta tutta la sua dignità e tutto il suo
pregio; e tutto il suo dovere sta nel pensare rettamente"
Ma
quale attività può servire all’uomo per capire qual è il senso della vita?
Purtroppo né la scienza né la filosofia sono adatte a questo riguardo.
"Il
cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce"
Questo antagonismo è espresso da Pascal nel binomio tra lo spirito di geometria e lo spirito di finezza. Lo spirito di geometria è la ragione scientifica, che ha per oggetto le cose esteriori e procede dimostrativamente; lo spirito di finezza ha per oggetto l’uomo e si fonda sul cuore, sul sentimento, sull’intuizione. Le cose di finezza si sentono, si provano, più che non si vedono; e si stenta moltissimo a farle sentire a quelli che non le sentono, e non si possono dimostrare completamente. Lo spirito di finezza vede le cose in un sol colpo, con un solo sguardo, senza ragionamento discorsivo. Comunque, un certo grado di finezza è indispensabile anche per fondare il ragionamento geometrico: anzi, i primi principi del sapere scientifico sono colti proprio attraverso lo spirito di finezza. Tuttavia, lo spirito di finezza ha, per oggetto specifico, il mondo umano. La morale, l’eloquenza, la filosofia, ecc., sono fondate sullo spirito di finezza; mentre la scienza, se è messa in relazione col destino ultimo dell’individuo, non può che risultare vana. La cosa più preziosa per l’uomo non è la scienza, bensì la conoscenza dell’uomo in se stesso.
"Bisogna conoscere se stessi; quand’anche non servisse a trovare la verità, giova per lo meno a regolare la propria vita. E non c’è nulla di più giusto".
A differenza della mentalità comune e della scienza, la filosofia si pone i massimi problemi esistenziali e metafisici: e in ciò risiede la sua nobiltà. Ma, secondo Pascal, non riesce a risolverli. Le dimostrazioni razionali dell’esistenza di Dio non sono autentiche dimostrazioni perché non provocano la fede in chi non crede. Secondo Pascal, l’esistenza di un creatore, parlando razionalmente, non è né chiara né certa, ma rimane un interrogativo. Le prove metafisiche di Dio raggiungono solo un Dio astratto, che appare inutile e lontano dall’uomo, invece il Dio dei cristiani è un Dio vivo, è il
"Dio
di Abramo, di Isacco, di Giacobbe… è un Dio di amore, di consolazione: un Dio che riempie l’anima e il cuore di coloro che
possiede".
Incapace di risolvere il problema di Dio, la filosofia è, per Pascal, altrettanto incapace a spiegare la condizione dell’uomo. L’uomo – dice Pascal – è compreso fra il tutto e il nulla. E’ un nulla di fronte al tutto e un tutto di fronte al nulla. E’ in una via di mezzo fra la totale ignoranza e la scienza assoluta. Le nostre capacità sono limitate da due estremi: l’uomo vorrebbe essere felice ma risulta inetto a realizzare effettivamente il bene e ad ottenere la felicità. L’uomo è preso fra il volere e il non potere, ed è in dissidio con se stesso.
"Desideriamo la verità, e
non troviamo in noi se non incertezza. Cerchiamo la felicità, e non troviamo se
non miseria e morte. Siamo incapaci di non aspirare alla verità e alla felicità,
e siamo incapaci di certezza e di felicità".
Però la nostalgia di un bene
totale e l’istinto verso una felicità piena vuol dire che nell’uomo c’è
la vocazione naturale verso un ordine superiore di essere e di valore, ossia un
barlume di grandezza e di nobiltà. La stessa coscienza della propria miseria è
già un segno di grandezza, come la medesima facoltà di pensiero.
"L’uomo è solo una
canna, la più fragile della natura; ma è una canna che pensa… Quand’anche
l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel
che lo uccide, perché sa di morire e conosce la superiorità che l’universo
ha su di lui, mentre l’universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta,
dunque, nel pensiero”
L’essenza dell’uomo, la
specificità della sua condizione, sta proprio nella compresenza di miseria e
grandezza, che fa di lui qualcosa di unico. Lo sbaglio della filosofia, secondo
Pascal, è stato quello di aver sempre oscillato fra dogmatismo e scetticismo;
non solo, ma anche dal punto di vista dei principi pratici, gli uomini non hanno
saputo mettersi d’accordo, sulla base della sola ragione, sulle regole del
vivere e del comportamento: per alcuni, il bene è nella virtù, per altri nel
piacere, per altri ancora nella natura ecc. I cosiddetti principi universali non
sono altro che frutto di abitudine, interesse, convenzione, forza, arbitrio. Di conseguenza, l’unica vera
filosofia è una sorta di metafilosofia, consapevole dei limiti della filosofia:
"Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano".
Comunque, la filosofia serve da stimolo per
cercare altrove le risposte, che si possono trovare nella rivelazione religiosa.
Fra tutte le religioni, solo la cristiana è quella vera perché solo essa
riesce a spiegare che cos’è l’uomo: solo il cristianesimo e la dottrina del
peccato originale, parlando di una caduta della specie umana, riescono a
chiarire la specifica condizione umana. La religione cristiana spiega, ad un
tempo, la perenne inquietudine e frustrazione dell’uomo che, nato per
l’infinito, cerca vanamente nel finito la soddisfazione del proprio desiderio
di felicità, dimenticando che il vuoto abissale e la carenza ontologica che
porta dentro di sé possono essere colmati solo da Dio. Ma se il cristianesimo
possiede la chiave esplicativa del mistero dell’uomo, vuol dire che esso è
ragionevole, ossia conforme a ragione. La fede allora non è una fuga
nell’irrazionale, giacché consiste nel credere in qualcuno che, pur essendo
meta-razionale, cioè superiore alla ragione, risulta pur sempre l’unico modo
per chiarire ciò che la ragione, con le sue sole forze, non riesce a spiegare.
A questo punto, l’uomo deve scegliere di
vivere come se Dio esistesse oppure di vivere come se Dio non esistesse (il non
scegliere sarebbe già la scelta negativa). Se la ragione non può aiutarlo,
tanto vale che l’uomo scommetta, considerando quale può essere la scelta più
conveniente. Chi scommette sull’esistenza di Dio, se guadagna, guadagna tutto;
se perde, non perde nulla. Infatti, in caso di perdita, perderà solo dei beni
finiti (i beni mondani), mentre, se vince, vincerà il Bene e la Felicità
infinita, che è Dio. La scommessa è ragionevole perché la sua vincita è
infinita ed infinitamente superiore alla posta in gioco. Arrischiare il finito
per guadagnare l’infinito ha, evidentemente, la convenienza massima. Certo non
si può credere a comando: allora – dice Pascal – bisogna lavorare a
convincersi, diminuendo le passioni che ostacolano la fede.
"Il cuore e non la ragione
sente Dio. Ecco che cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, non alla
ragione".